In
margine agli incidenti scoppiati fuori dal Bentegodi prima della gara
tra Hellas Verona e Cavese, che hanno visto coinvolti i sostenitori
della Cavese, la ricerca della verità dovrebbe essere il solo obiettivo
da perseguire per gli organi di informazione. A maggior ragione, quando
c'è di mezzo la giustizia.
Sui fatti avvenuti domenica al Bentegodi si è detto, e scritto, forse troppo poco.
Le
cronache hanno parlato di "facinorosi e teppisti". Di supporters cavesi
che nulla di meglio avrebbero avuto da fare se non sobbarcarsi
centinaia di chilometri per mettere a repentaglio la propria
incolumità. E quella di donne e bambini presenti fuori, perché è lì che
è rimasta gran parte della gente di fede biancoblù, dall'impianto
sportivo scaligero.
In
un calcio travolto da episodi deprecabili, e da atti vandalici che
nulla hanno a che vedere col gioco più bello del mondo, fatti del
genere sono all'ordine del giorno. E’ stata proprio questa routine a
far nascere una corrente di pensiero fin troppo semplicistica tra
quanti si occupano di informazione. La colpa è sempre degli ultras.
Anche
in questo caso, una tale corrente di pensiero è stata ampiamente
seguita. Portando ad esprimere giudizi superficiali, e condanne
mediatiche, senza troppi scrupoli.
Questo
perché? Perché il rincorrere la notizia, e il doverla riportare il
prima possibile, porta alcune volte alla superficialità, al venir
meno dell'interesse per la "vera verità". Quello che è accaduto
domenica ha avuto una certa rilevanza mediatica. Ma i fatti riportati
(tafferugli con le forze dell'ordine, servizi igienici distrutti, 8
arresti e 5 fermi) non sono che le conclusioni. Così, una città come
Cava de' Tirreni potrebbe vedersi incollata addosso la sgradevole
etichetta di "patria di rivoltosi".
Questo
emergerebbe se ci si limitasse a tener conto di quanto si è scritto.
Che potrebbe non essere tutto. A Verona erano presenti tante famiglie.
Partite per il Veneto da Cava, e non solo, per seguire la formazione
metelliana. Tante donne, bambini, padri di famiglia, giovani. Che
ultras, cioè militanti del tifo organizzato, certo non sono.
A
sentire le testimonianze di queste persone, pubblicate su alcuni siti
web nonché su giornali locali, si ottiene una versione che porta alle
stesse conclusioni. Ma con cause e modalità diverse. Che fanno pensare
che, se qualcosa di sbagliato c'è, non è solo nella testa dei tifosi
(cavesi, nel caso specifico).
In
queste testimonianze si legge di una scarsa elasticità da parte delle
forze dell'ordine verso i sostenitori aquilotti. Si legge di gente
esasperata dalla vana attesa di poter assistere, pacificamente, allo
spettacolo dopo un lungo e stressante viaggio. Si legge, ancora, di
eccessi di zelo degli addetti all’ordine pubblico, forse troppo
rigorosi nell’impedire l’ingresso nel settore ospiti di persone con
biglietto di altro settore e di prezzo superiore.
Nelle
versioni "ufficiali" quello che è trapelato, invece, è che si sia
trattato di teppisti intenti e disposti al diverbio (se non a peggio)
con le forze dell'ordine. Di tifosi con biglietti nominativi i cui dati
non corrispondevano a quelli del possessore. E si è sostenuto che molti
volessero entrare senza possederlo, un biglietto.
Quale
delle due versioni è quella reale? A chi dare ragione? Qual è la
verità? Probabilmente nessuna delle due lo è, in senso assoluto. E la
verità sta nel mezzo. Ma, proprio per questo, esprimere giudizi
affrettati non è giusto né corretto.
Sta
di fatto, comunque, che gli arresti ci sono stati e le condanne
arriveranno a breve. Gli 8 arrestati sono rientrati a Cava de' Tirreni
e sono in attesa della sentenza. Che, con ogni probabilità, imporrà
loro il Daspo.
C’è,
dunque, nel caso di specie una sola verità? Vale a dire quella resa
pubblica? Quella venuta fuori da una sola delle due campane? Non
dovrebbe, viceversa, essere scontato per chi è mosso dal vero spirito
di cronaca guardare oltre la superficie? Andare in fondo, informandosi
e informando a 360 gradi? Alla ricerca di una possibile verità
nascosta?
Donne,
bambini, famiglie, giovani, un lungo viaggio per la propria passione
rovinato dal proprio comportamento. Non ne siamo troppo convinti. Così
come siamo convinti che la verità non cade dal cielo. E che le parole,
prima di essere scritte, debbano essere pesate e pensate. Specie quando
si ha a che fare con popoli civili quali quelli di Verona e Cava de'
Tirreni, non si possono diffondere notizie parziali che tanto male
possono fare a chi ne è, suo malgrado, protagonista.
La
velleitaria speranza è che, per gli episodi di violenza, ci sia sempre
chiarezza da parte di chi indaga. E che la giustizia faccia il suo
corso, senza superficialità e/o pregiudizi. Così come l'informazione.
Che dovrebbe scavare, sempre e comunque, alla ricerca della verità
vera. Se mai esiste.
Davide Lamberti - www.calciopress.net